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Nel mio ultimo viaggio ho esplorato la Cambogia per un intero mese. Sono partito dalla famosa Siem Reap per poi scendere giù fino alle isole di Koh Rong e tornare nuovamente a nord per visitare Battambang. Ho passato il confine thailandese con l’ultimo giorno di visto disponibile.
La capitale Phnom Penh non rientrava nei miei programmi, così come non rientrava nei miei programmi una visita alla prigione S21 Tuol Sleng. Prima di allora non ne conoscevo neanche l’esistenza. Oggi però posso dire che non ci sia stata per me visita a un luogo più toccante, cruda, e per certi aspetti complicata come quella del museo Tuol Sleng
Che cos’è la prigione di Toul Sleg?
Questo grande edificio color grigio si trova nel cuore di Phnom Penh, la capitale cambogiana. L’S-21, soprannominata anche “macchina della morte”, è stata una scuola secondaria che durante il regime dei Khmer Rouge divenne un centro di detenzione e di tortura, sorella di una rete di duecento prigioni nascoste per tutta la Cambogia. I documenti più recenti ci dicono che tra il 1975 e il 1979 hanno varcato i suoi cancelli quasi 20,000 persone. Solo in 12 fecero ritorno.
L’ S21 non venne individuata facilmente dai liberatori perché nessuno immaginava che una scuola potesse essere trasformata in un luogo di morte. Fu il fotoreporter vietnamita Van Tay, che assieme ad altri suoi colleghi, segui l’odore dei corpi in decomposizione fino a giungere alle porte di Tuol Sleng. Le foto della scoperta sono oggi esposte nella stessa Tuol Sleng.
La struttura, adesso al suo terzo cambiamento, è diventata un museo della memoria e simbolo del genocidio cambogiano. L’UNESCO ha inserito il museo nell’ elenco delle memorie del mondo
Un tour da incubo
La mia visita si apre con uno sguardo generale sulla struttura, o come dice l’audio guida “una presentazione da incubo”. Il tour audio guidato (che consiglio vivamente di fare) è composto da quarantadue tappe, trentadue delle quali necessarie per dare un filo logico al racconto, le restanti dieci è possibile ascoltarle in qualunque momento.
Sono entrato al Museum Phnom Penh alle nove del mattino e sono uscito alle quattordici. Cinque ore intense dove a ogni passo il cuore sembrava fermarsi. Il clima era irreale, uno strano rispettoso silenzio avvolge l’intera struttura. Premetto che prima del museo del genocidio Tuol Sleng non avevo preso parte a molte visite audio guidate.
Sarà stato anche per questo che ho avvertito un ulteriore strappo allo stomaco. La voce guida, infatti, riusciva a farmi immedesimare completamente in ciò che mi circondava. Il tono della voce cambiava di tappa in tappa, così da rendere più autentica l’esperienza, tanto da consigliare a chi ascolta di fermarsi a prendere fiato, o a evitare alcune stanze qualora si fosse dei soggetti troppo sensibili.
L’ edificio alla mia sinistra è il primo della lista. Ancor prima di entrare ciò che colpisce è il filo spinato arrugginito che divide le aule dal ballatoio, così stretto da non permettere di far passare un respiro. Le sbarre alle finestre, invece, sono di ferro spesso, simile alle prigioni moderne, di quelle che distruggono i sogni. Da quel momento in poi è tutto un susseguirsi di strazi e domande: come è potuto accedere tutto questo?
Ogni piano, ogni stanza, così come i giardini o il capanno degli attrezzi, riportano alle storie del genocidio in Cambogia, e ogni volta il buco al cuore pare allargarsi. La guida continua con tono sempre più intenso e tra i vari passaggi si ascoltano i racconti di chi quelle atrocità le ha vissute sulla propria pelle. Questa volta la traduzione è goffa, ma non serve molto a comprendere l’angoscia di chi parla.
Tuol Sleng: sopravvissuti
Ad oggi ci sono solo due sopravvissuti agli orrori dell’ s-21, ed entrambi dedicano la loro vita al ricordo del genocidio cambogiano. Alla fine del percorso un signore con la faccia segnata dal tempo stava seduto su un banchetto di plastica, esattamente nei giardini del Phnom Penh Museum dove tutto è accaduto.
Il suo nome è Chum May ed è sopravvissuto alle torture dei Khmer Rossi. Chum May è stato risparmiato per l’alto livello delle sue competenze nella riparazione di macchinari per i soldati di Pol Pot. Adesso dedica il suo tempo al ricordo di quei giorni. Parla ai convegni, scrive libri e risponde alle domande dei turisti al museo del genocidio di Tuol Sleng.
Avrei voluto chiedergli scusa, come se per assurdo fossi stato uno degli aguzzini che per due anni lo ha legato con una catena al pavimento. Ma in realtà le scuse che sentivo di fare erano perché ho capito che anche io faccio parte del genere umano, un genere capace di crimini come questo. Eppure, alla fine di tutto, non sono riuscito ad aprir bocca. Pensandoci bene cosa avrei mai potuto dire? Mi dispiace? Come stai?
Considerazioni
Il Tuol Sleng Genocide Museum è con ogni probabilità uno dei più gradi ricordi che abbiamo del genocidio cambogiano. Eppure, la capitale Phon Penh, resta una meta parecchio snobbata dal turismo straniero, certamente più interessato a trascorrere qualche giorno nelle spiagge di Koh Rong o ai templi di Ankgor.
Il Museo Tuol Sleng è un posto unico nel suo genere, una tappa necessaria per capire qualcosa in più della storia cambogiana sotto il regime di Pol Pot e dei Khmer Rossi.
Ciò nonostante, non credo che sia un luogo adatta a tutti! Come ho riportato all’inizio dell’articolo, non c’è stata per me visita più toccante, difficile e cruda come quella fatta al museo del genocidio di Tuol Sleng, la prigione s-21.
Dopo un lungo percorso interiore ho capito che la vita “tradizionale” non faceva più per me e ho deciso che avrei smesso di timbrare un cartellino. Adesso sono un SEO e copywriter che viaggia per il mondo e racconta ciò che vede.
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